"Per anni sono fuggito senza sapere da cosa. Credevo che, correndo più in fretta dell'orizzonte, le ombre del passato non avrebbero intralciato il mio cammino. Credevo che, mettendo tra me e loro una distanza sufficiente, le voci nella mia testa si sarebbero zittite per sempre.
Alla fine sono tornato."
Piccola grande sorpresa, "Marina" di Zafon, romanzo di formazione che dipinge con disarmante delicatezza una gotica Barcellona immersa nel mistero e nelle ombre.
A fine libro il protagonista è cresciuto, maturato, ha perso l'innocenza.
Scoperto il Male.
Il Male vero, il Male che più spaventa.
"Marina" vi affererà la mano per portarvi con sè nel centro storico della bella città spagnola, per condurvi in visita di luoghi che, pur terrorizzandovi, non potrete fare a meno di guardare. Avrete voglia di scappare, ma non lo farete, anzi. Tornerete in quei luoghi, anche senza di lei. A volte non vi sembreranno del tutto veri, quei casolari, e quei cimiteri, ma incontrerete individui che hanno incantevoli e spaventose storie da raccontare e, si, le ascolterete,
tutte.
A tratti vi sembrerà di leggere una fiaba, altre volte di ascoltare il racconto di un sogno, ma continuerete a leggere.
Avidi.
E vi chiederete, più di una volta, se "le cose più reali succedono solo nell'immaginazione" e se "ricordiamo solo quello che non è mai accaduto."
Oh insomma! Se avessi avuto più tempo, una volta iniziato, non avrei messo giù il libro prima di arrivare all'ultima pagina. :-)
Detto ciò.
Ho qualcosetta dire in merito al fatto che, solo adesso, questo romanzo sia finito sugli scaffali.
Le logiche di mercato impongono che nel momento in cui uno scrittore diventa famoso, tac, automaticamente gli è permesso - o addirittura richiesto? - di pubblicare qualsiasi cosa egli abbia scritto, anche se quegli stessi scritti, anni prima, furono snobbati e ignorati dalle case editrici.
Probabilmente è quello che è successo a Lansdale - del quale, per mesi e mesi e mesi, abbiamo assistito ad un materializzarsi continuo di "nuovi" romanzi, per poi scoprire che altro non erano che scritti di gioventù., ecco.
A pagina 3 di questo "Marina" di Zafon, grazie alla bellissima e struggente prefazione dell'autore, mi sono resa conto di essermi ingannata.
Marina NON è il nuovo libro di Zafon, bensì uno dei primi libri di Zafon, scritto prima de Il Gioco dell'Angelo e prima del famosissimo L'Ombra del Vento.
Ora, io mi chiedo.
Essendo questo romanzo TUTT'ALTRO che brutto, perchè perchè perchè
non glielo pubblicarono?
Ovviamente me lo chiedo ma non so rispondere.
Quindi insulto un po', tra me e me, le case editrici in generale e vi invito a provarci, con "Marina", non è una di quelle che dopo che ve le siete fatte non vi ricordate manco la faccia .
Pare che Chérie sia nato nella mente di Colette parecchio tempo prima di essere pubblicato come libro: era spesso il protagonista di episodi settimanali che l’autrice pubblicava sul Matin.
Con il passare del tempo Chérie diventa un racconto e poi, tempo dopo, un romanzo (che è quello che ho letto io), un romanzo, nemmeno centocinquanta pagine, che mi ha davvero colpito al cuore.
Anche Colette, probabilmente, ne fu altrettanto affascinata, al punto che sei anni dopo ha scritto una specie di “conclusione”, intitolando il romanzo proprio La Fine di Chérie dove c’è una specie di rivalsa, se ho capito bene, nei confronti di questo ragazzo dalla bellezza così sfrontata. Rivalsa non solo da parte della sua matura amante, ma proprio dell’autrice stessa…
La trama di Chérie è pressappoco questa: c’è una donna, Léa, non più giovane, che ha avuto un sacco di amanti, amanti giovani. E c’è un giovane ragazzo, Chérie (e già la scelta di questo nomignolo dice molto) bello, ma bello veramente, figlio di una vecchia conoscente di Léa…
“Lèa e l’amica si conoscevano da venticinque anni, con quell’intimità nemica da donne frivole arricchite da un uomo che poi le abbandona, rovinate da un altro uomo, in un’amicizia stizzosa da rivali in agguato della prima ruga, del primo capello bianco. Cameratismo da donne pratiche, abili nei giochi di borsa, ma una avara e l’altra sibarita. Simili legami contano. E un altro legame che contava, giunto più tardi a unirle: Chérie.”
Tra Lèa e Chérie, ovviamente, c’è un particolare rapporto, quasi un incestuoso legame madre-figlio, perché Léa, beh, non può fare a meno di trattare Chérie come un bambino: lo riprende se è disordinato, lo nutre con pasti sani, lo convince a prendersi cura di sé, gli fa fare sport… lo “culla” quando hanno finito di fare l’amore, e lui, lui accetta e ne gode di questo trattamento, si accucciola nel corpo di lei, con la testa nell’incavo del suo collo, a cercare le coccole, proprio come un bambino. A volte si finge, o lo è davvero, seccato dai comportamenti di Léa, fa un po’ i capricci, quasi stanco di essere l’eterno bambino…
Il loro rapporto, che dura da qualche anno, subirà un enorme scossone quando Chérie annuncia a Lèa il suo imminente matrimonio con una giovane donna dalla ricchissima dote e dalla bellezza fresca e squisita. Continuano a vedersi, durante il fidanzamento, ma dopo il fatidico sì… si allontanano.
Chérie, cerca poi nella moglie alcune caratteristiche di Léa, e certo! dico io: a quale uomo non piacerebbe un’amante che è insieme madre? E’ abituato bene, il ragazzo…
Molto bella la prosa di Colette: elegante, curata, fine, “giusta” considerando gli anni in cui è stato scritto il romanzo e il tema narrato.
Il romanzo si apre in una camera da letto e si svolge, quasi interamente, al “chiuso”. E’ un po’ come quei film che sono basati principalmente sulla recitazione, sui dialoghi, sui rapporti tra i protagonisti, sui loro pensieri, sulle loro emozioni, sì, quei film che non si ricordano per i paesaggi ma per le espressioni degli attori, per la loro grandissima interpretazione.
Nello stesso modo, di questo romanzo, non mi resterà Parigi, che fa solo da sfondo (seppur descritta bene, con atmosfera) ma…
Mi rimarrà, credo, il fascino terribile e crudele di un ragazzino viziato, viziato dalla vita, dalle donne, dalla sua bellezza, un ragazzino egocentrico, egoista, quasi il simbolo della giovinezza, con la sua spavalderia, con la sua convinzione che il mondo sia tutto ai suoi piedi, con il suo poco rispetto per i sentimenti altrui…
E, naturalmente, mi rimane dentro Léa, una donna affascinante che si vede gli anni sfuggire di mano, una donna che con l’età ha acquisito quella sorta di saggezza che a volte caratterizza gli anziani quando capiscono come gira il mondo… una donna che, per un attimo…
“La sua abile prudenza, il sorridente buon senso, che avevano sempre guidato la sua vita, le umilianti esitazioni dell’età matura, poi le rinunce, tutto crollò e svanì di fronte alla brutalità presuntuosa dell’amore.”
E poi.
“Una speranza, stupida, come quella che può balenare un attimo, durante una caduta, a chi precipita da una torre, brillò tra di loro e, subito, svanì.”
Le donne.
Che prendono coscienza del mondo.
Che a volte decidono per tutti.
E gli uomini.
Che quando incontrano una donna forte, si adagiano.
Che a volte si lasciano vivere, e ne escono anche soddisfatti.